In Francia l’enoturismo vale 5,2 miliardi di euro, e coinvolge 10 …

Roma – 07 Agosto 2017, ore 13:13

Non è facile calcolare l’impatto dell’enoturismo sull’economia del Belpaese, ma le stime parlano, generalmente, di un impatto di almeno 3 miliardi di euro l’anno sui territori del vino italiani. E in Francia? Lo abbiamo chiesto a Luigi Di Crocco, italiano da anni adottato da Bordeaux, dove lavora per Ophorus (www.ophorus.com), una dei maggiori tour operator dedicati alle visite in cantina del Paese d’Oltralpe. “I turisti che hanno pianificato le proprie vacanze in Francia, con particolare attenzione al vino, sono stati 7,5 milioni nel 2009 (di cui 5 milioni di francesi), ma sono passati a 10 milioni nel 2016, secondo i dati dell’Agenzia di Sviluppo Turistico francese”, racconta Di Crocco. “Si calcola una spesa globale di 5,2 miliardi di euro nel 2016, con i turisti stranieri che rappresentano il 42% del totale, divisi tra belgi (27%), britannici (21%), tedeschi (15%), olandesi (11%), americani (4%). E gli stranieri sono anche quelli che hanno registrato, in proporzione, una maggiore progressione: 40% contro il 29% per i francesi. Da evidenziare – continua Di Crocco – che il posto del vino nella cultura francese è più rilevante di quanto non lo sia in Italia: questo non vuol dire che i francesi necessariamente ne capiscano di più, semplicemente se ne interessano di più, e spendono, di conseguenza, di più”.
Ma quali sono i territori più amati dai wine lover che scelgono i filari di Francia? “Dalle ultime statistiche in percentuale le prenotazioni si suddividono così: 18% Bordeaux, 17,2% Champaigne, 16,9% Alsazia, 16,2% Borgogna, 13% Valle della Loira, 11,5% Valle del Rodano, al pari della Provenza. Nei prossimi anni, invece, potrebbe emergere la Languedoc, in forte progressione, ma credo che i rapporti di forza resteranno quelli correnti per molto tempo ancora”. Se c’è un ostacolo alla crescita di un settore che apre avere il vento in poppa, è la famigerata Legge Evin del 1991, “modificata e resa più flessibile da Hollande nel 2016, quando fu inaugurata la Cité du Vin di Bordeaux, che limita fortemente la promozione del consumo di bevande alcoliche sul territorio nazionale – spiega Di Crocco – ed è quasi universalmente considerata quale il maggiore limite allo sviluppo del mercato interno”.
A proposito di Cité du Vin, WineNews ha seguito ogni tappa della sua nascita, fin dentro il percorso espositivo (qui il servizio: http://www.winenews.tv/index.php?wnv=7930), ma non è stato certo un percorso senza intoppi. “La Citè du Vin è un’opera “faro” per il settore turistico ed enoturistico della città, di fatto l’obbiettivo era aggiungere un qualcosa in più, non sottrarre all’esistente. Eppure l’inquietudine c’era e sembra che mentre il progetto era già in fase di realizzazione, lo stesso presidente della regione Aquitania, Alain Rousset, fosse inquieto perla possibilità che la Cité du Vin potesse sottrarre visitatori agli Chateaux. Bisognerà attendere i dati del prossimo autunno per averne la conferma – aggiunge Di Crocco – ma la Cité si configura come una vetrina e non un sostituto. Tutti coloro che per vari motivi non possono o non vogliono organizzare un tour negli Chateaux possono trovare nel museo una soluzione più accessibile, ed è anche un’ottima alternativa in caso di clima avverso, cosa non rara a Bordeaux”.
Un’altra spinta all’enoturismo, almeno in Italia, arriva dall’Unesco, che ha riconosciuto i territori vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato come Patrimonio dell’Umanità, e potrebbe fare altrettanto con quelli di Conegliano Valdobbiadene. “Anche la Francia punta molto sul fenomeno Unesco, ma non è visto come un traguardo miracoloso, piuttosto come un’opportunità che apre nuovi orizzonti. Bordeaux è un esempio a riguardo: la città – ricorda Di Crocco – fino agli anni Novanta era chiamata “la bella addormentata”, perché se ne coglieva il potenziale inespresso, ma nessuno voleva viverci. Un fattore decisivo è che gli Chateaux non pagano le tasse locali in quanto si tratta di attività agricole e godono di molti privilegi fiscali per questo. Il comune, con un progetto organico e ben strutturato, ha ripulito uno per uno i palazzi del centro, ha costruito un’efficiente rete tramviaria e rimosso i moli commerciali dal lungo fiume, sostituiti dai moli da crociera, è così che il centro cittadino è diventato patrimonio Unesco nel 2006, ed è stato fondamentale per l’aumento degli enoturisti. Anche intercettando il nuovo bacino di potenziali visitatori sviluppato in Europa dalle compagnie aeree low cost: moltissimi sono turisti che si trasformano in enoturisti, e viceversa, perché il vino è uno dei fattori che attirano i viaggiatori, ma da solo non basta. Se il vino è buono ma il luogo in cui questo è prodotto non è accogliente e bello, allora mi basta comprare la bottiglia sotto casa, fin là che ci vado a fare?”

Ma non finisce qui, riprende Di Crocco, “non basta il contenuto, ci vuole anche o un contenitore adeguato. Le basi c’erano, non si poteva fallire. Poi ci vuole la promozione, il marketing, pensate che il comune di Bordeaux ha un ufficio apposito il cui team ha un solo obbiettivo: partecipare e vincere ogni sorta di concorso turistico internazionale. Un altro esempio, poco lontano da qui, riguarda il villaggio medioevale di Saint Emilion, a 50 chilometri da Bordeaux. Fino alla grande vendemmia 1982 il villaggio ed il suo vino erano ben noti in Francia, ma praticamente sconosciuti al grande pubblico straniero. Dopo questa data, oltre ai grandissimi come Cheval Blanc, anche gli altri produttori sono arrivati sulla ribalta internazionale. Quello che le istituzioni hanno fatto è stato restaurare il villaggio, praticamente abbandonato, mantenerlo in splendide condizioni, costruire un’efficiente rete viaria per raggiungerlo, ed ottenere il riconoscimento Unesco nel 1999. Oggi il villaggio ed i suoi vini attirano gli stessi turisti dell’intera area del Medoc: 1 milione l’anno. Saint Emilion – continua Di Crocco – è diventato un focus che ha apportato visitatori anche all’appellation vicina di Pommerol, forse anche più prestigiosa della prima dal punto di vista enologico, ma certamente meno attrattiva turisticamente. Tutta l’area di Bordeaux è interessata da pesanti afflussi di capitali esteri, mentre spesso in Italia si levano voci contrarie a tali risorse. Nella nostra esperienza questo risulta essere un elemento fondamentale per lo sviluppo del territorio, ed anzi, la particolare politica di agevolazioni fiscali legate alle aziende viticole fa leva proprio sulla volontà dello Stato francese di attrarre investimenti internazionali. Condizione necessaria, ovviamente, è una struttura istituzionale forte che faccia rispettare le regole”.
L’ultimo passaggio riguarda invece un aspetto più burocratico, che torna spesso nel dibattito pubblico ed in quello politico, e che riguarda la discussione della legge che regolerà il settore enoturistico, attualmente in discussione alla Camera, che dovrà occuparsi di diversi aspetti, a partire dalla somministrazione di cibo in cantina. “Noi proponiamo visite in cui è possibile sperimentare l’accordo cibo vino. I piatti devono essere freddi, formaggi, affettati e dolci sono ammessi. Il punto – spiega Di Crocco – è che noi lavoriamo con aziende piuttosto strutturate, ricche se vogliamo, e se queste vogliono fare un salto di qualità ed entrare nella ristorazione semplicemente acquisiscono una licenza apposita e propongono il servizio. Non credo che la semplice moltiplicazione dei servizi “accessori” da soli, aiutino le cantine e sviluppi il turismo legato al vino. Questo può essere un incentivo, certo, ma è molto più importante fare sistema, creare delle condizioni idonee perché un’area viticola o un’appellazione abbiano visibilità e siano attrezzate ad accogliere i visitatori, al di là dei singoli servizi offerti. Parlo – conclude Di Crocco – di infrastrutture, marketing del territorio, partenariati internazionali”.

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