Castelvetro. “La Piana”, vini biologici enoturismo e degustazioni

CASTELVETRO. Viticoltori si nasce e Mirco Gianaroli dell’azienda agricola La Piana di via Ossi a Castelvetro ha seguito con passione il suo destino fin da quando, ancora adolescente, ha deciso che quella sarebbe stata la sua strada. «L’azienda è nata nel dopoguerra quando mio nonno Cesare ha acquistato questo terreno – racconta Mirco – lui era originario di Pavullo ma alla fine del conflitto mondiale decise di trasferirsi con la famiglia a Castelvetro, su questo fondo che al tempo, pur essendo un’azienda multifunzionale, con stalla, animali da cortile e campi coltivati, era già parzialmente piantato a vigneto. Predominava il vitigno del Lambrusco Grasparossa ma c’erano anche diverse varietà di uva bianca».
Nel corso degli anni, però, nonno Cesare decise di ridurre progressivamente il bestiame, per potenziare il vigneto e la cantina. Con il passaggio di generazione, negli anni Ottanta, nonno Cesare passò il testimone dell’azienda al figlio Graziano e alla moglie Silvana Mazza, di origini piacentine, anche lei figlia di viticoltori delle colline di Bacedasco. Questo momento però durò poco, perché la famiglia dovette affrontare il lutto per la morte di Graziano, a soli 52 anni. Silvana decise con coraggio e tenacia di continuare l’attività.
«Logicamente abbiamo rinunciato al bestiame, non era più possibile seguirlo – racconta ancora Mirco – in quel periodo avevo 9 anni e seguivo, appena ero libero dalla scuola, nonno Cesare nella stalla e nel vigneto, per aiutarlo perché lui ormai aveva 80 anni».
Fu così che Mirco, poco per volta, si appropriò dell’esperienza familiare in viticoltura e acquisì le competenze per la produzione del vino. All’età di 16 anni, quando mamma Silvana ebbe seri problemi di salute e nonno Cesare iniziava ormai a cedere vistosamente, Mirco decise di dedicarsi all’azienda a tempo pieno.
«Anche io, come mio nonno, mio padre e mia madre, avevo la viticoltura nel sangue – continua Mirco -mio nonno mi aveva cresciuto con la passione per le viti e questa è sempre stata la mia vocazione».
Qualche anno di intenso lavoro nel vigneto e poi a 18 anni Mirco compie una svolta e decide di ristrutturare gli edifici aziendali. «Dove prima c’era la stalla – dice – abbiamo ricavato il magazzino, la sala degustazione e l’acetaia, spinto dall’esigenza di legarmi al territorio, all’enoturismo e dalla necessità di potere attirare e mostrare a clienti e visitatori, non solo il nostro vino. L’aceto balsamico tradizionale è un prodotto che non vendiamo, lo produciamo per le nostre degustazioni, perché è importante trasmettere al turista che non tutto finisce col vino e da qui veicolarlo su altre aziende». Mirco Gianaroli nelle degustazioni presso la sua azienda abbina infatti altri prodotti del territorio. «Chi viene e fa visita alla nostra cantina – continua – ha anche la possibilità di incuriosirsi con l’acetaia, imparare la storia del prodotto e magari di andare dopo in un’acetaia ad acquistare o in caseificio. Spesso facciamo collaborazioni con altre aziende del territorio. Cerchiamo di creare un nucleo virtuoso di imprese per poter girare sul territorio; oltre alle acetaie, anche piccoli caseifici, perché è chiaro che se il turista si incuriosisce e scopre la varietà delle proposte, poi ritorna».
Sempre giovanissimo, Mirco Gianaroli puntò sulla viticoltura sana e bologica.
«È stato semplice, perché la nostra azienda è sempre stata biologica, anche se non era certificata – aggiunge Mirco – Mio nonno non aveva voluto mai usare diserbi, non erano mai stati usati prodotti sistemici sulle viti. La certificazione a biologico per noi è stato quindi un passaggio burocratico. Stavamo già seguendo alla lettera per scelta quello che era il protocollo del biologico. Adesso stiamo cercando di fare anche la certificazione Carbon free e stiamo cercando di avvicinarci a una sostenibilità ambientale a 360 gradi. Abbiamo installato l’impianto fotovoltaico sopra la cantina. Per il 75% utilizziamo solo elettricità prodotta da noi».
All’inizio l’impianto doveva sopperire a tutte le esigenze della cantina. Per alcuni anni è stato così, poi l’attività è aumentata. Adesso Mirco Gianaroli ha 34 anni e ad affiancarlo nell’attività è la moglie Eleonora. In tutto l’azienda agricola La Piana coltiva su una superficie di terreno di 11 ettari e mezzi, 7 ettari di vigneto produttivo: principalmente per il 75% è Lambrusco, il rimanente è Pignoletto e Trebbiano di Modena. «Abbiamo anche alcuni filari di vigneto vecchio che piantò mio nonno nel vigneto vicino a casa e che hanno più di 40 anni – ha aggiunto – tra questi ci sono alcuni filari di Lambrusco di Sorbara, che manteniamo e utilizziamo come taglio su un Lambrusco Grasparossa». Il risultato è Noi Due, Lambrusco rosè Grasparossa all’85% con 15% di Sorbara. «Attualmente la nostra produzione annua complessiva è intorno alla 70mila bottiglie – spiega – poi ne produciamo altre 35-40mila l’anno come conto lavorazione. Altra scelta che ho fatto 4 o 5 anni fa è stata di rendermi autonomo per l’imbottigliamento, metodo charmat. Da lì altri agricoltori che hanno la cantina, ma non la possibilità di imbottigliare, hanno scelto di venire qui a fare la frizzantatura e l’imbottigliamento». Punta di diamante dell’azienda è il Capriccio

di Bacco, un Lambrusco Grasparossa senza solfiti aggiunti. «Questo vino è certificato dal 2012 e siamo tra le prime aziende a certificare bio. Vista la richiesta, abbiamo iniziato a produrre anche un bianco senza solfiti aggiunti, che è Soffio di Venere, Trebbiamo spumante pas dosè».

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